Per fare bene prevenzione cardiovascolare bisogna prima di tutto identificare i soggetti ad alto rischio cardiovascolare. Ma come si definiscono esattamente queste persone? Sono coloro che hanno avuto un evento cardiovascolare come angina, ictus, infarto, angioplastica. Ancora, chi è o stato soggetto a malattie come il diabete, insufficienza renale o una aterosclerosi periferica. Questi pazienti dovranno quindi essere trattati con una terapia medica tradizionale.
Per i soggetti sani o asintomatici, invece, può cominciare un approccio diverso, ovvero:
- si devono analizzare i classici fattori di rischio cardiovascolare;
- si devono ricercare i primi segni di danno nelle arterie. Spesso il primo danno rilevabile è l’ispessimento delle pareti carotidee; si prosegue anche con la ricerca, con ecodoppler, delle placche aterosclerotiche nelle carotidi, nell’aorta e nelle arterie femorali;
- si deve escludere la presenza di numerose malattie autoimmuni o infiammatorie come la colite cronica, le artriti, la psoriasi, la bronchite cronica ed altre. Tutte queste condizioni implicano infatti un aumento del rischio cardiovascolare.
Solo a questo punto lo specialista può sapere se si trova davanti ad un paziente ad alto rischio cardiovascolare e potrà quindi definire l’entità del suo intervento, che potrà misurarsi in semplici variazioni dello stile di vita fino ad un trattamento farmacologico importante e continuativo.